Sono ad una festa. Un evento mondano che potrebbe essere un’inaugurazione di un nuovo locale o un happening culturale. Mi fanno compagnia l’uomo dell’ambulanza, l’amico che è sempre a cena e compare di quando in quando un tecnico con cui ho collaborato negli scorsi mesi, di spiccata fede comunista. Attrazione dell’evento è una pietra preziosa, forse un diamante, che però non viene esposta pubblicamente ma si trova celata in una borsa da donna in una stanza adibita a guardaroba. Improvvisamente con i conoscenti si decide di procedere al furto di tale oggetto e mentre E. fa il palo alla porta del guardaroba, io, in compagnia di una figura non meglio identificata, che potrebbe essere sia F. che R., frugo nella borsa, ne sottraggo il prezioso e comincio ad avviarmi verso l’uscita. Appena fuori cominciamo a correre e ci dileguiamo nelle vie, con la sensazione di essere seguiti. Torniamo sul posto qualche ora dopo. La polizia ha già avviato le indagini e sta schedando tutti gli invitati facendo loro un breve interrogatorio. Quando tocca a noi mento spudoratamente e con naturalezza davanti ad E. che invece sembra tradire un po’ di imbarazzo e tensione. Una signora ci accusa di averci visto armeggiare intorno al contenitore dell’oggetto rubato, ma io ribatto che chiunque è stato intorno alla borsa e che questo non è sufficiente per lanciare facili accuse. La mia argomentazione sembra convincere l’ispettore. Cambia scena completamente. Siamo stati scoperti e stiamo fuggendo per strada rincorsi dalle forze dell’ordine. L’unica soluzione è di rilasciare nell’aria un agente fortemente radioattivo che porto con me sotto forma di una polvere bianca conservata in una piccola fiala. Eseguo il folle gesto sapendo di condannare ad una morte terribile anche me, oltre ai miei amici ed inseguitori. Questi ultimi si fermano mentre noi continuiamo la folle corsa fino ad un porticciolo dove il traghetto è appena partito, lasciandoci a terra. Cambia ancora scena, stiamo passeggiando per strada sapendo che nel giro di un’ora saremo morti, e questo avverrà nel modo peggior possibile. I tessuti interni cominceranno a sanguinare e a disfarsi tra atroci sofferenze. Nonostante questo non mi sento in grado di considerare il suicidio un’opzione. Non ho paura di morire, semmai un po’ di soffrire, ma sono anche curioso di vivere quest’ultima esperienza. In un bagno pubblico mi vedo allo specchio con della grosse macchie rosse in faccia, segno dei primi effetti della radiazione. La minzione mi fa male ed è mista a sangue. Mi fa male ma sono anche interessato quasi scientificamente dal comportamento del mio corpo in queste condizioni. Torniamo nel porticciolo, la fine si avvicina, lo sento. Prendo il telefono e davanti ad un parchetto comincio a chiamare tutti i miei amici per salutarli un’ultima volta, ma spesso non so trovare le parole. E sono quasi sollevato quando la Manusettete mi dice che in questo momento non può parlare e di richiamare dopo un po’. Il sogno svanisce lentamente, ma la consapevolezza di avere pochi minuti da vivere fa fatica ad abbandonarmi, fino a quando non sono completamente sveglio.
Sogno: un furto contaminato
14 giovedì Giu 2007
in
EGO ha detto:
Partendo dalla scorrelata considerazione che tutti noi abbiamo pochi minuti da vivere, anche da svegli (dipende sempre dalla concezione del tutto soggettiva di ‘pochi‘), vorrei esprimere il mio piu’ sentito disappunto di fronte al fatto che nel tuo subconscio io faccio il palo, e per di piu’ palo pirla, che si fa sgamare dalla successiva ispezione della polizia.
Ancora una volta mi diletterei nella mia tradizionale analisi da quattro soldi delle tue esperienze oniriche; mi rendo conto che la qualità si attesti a cavallo fra un discorso da parrucchiere e una chiacchera da portinaia, ma non riesco a fare a meno di focalizzare alcuni particolari del racconto.
In primo luogo una ricerca finalistica. Decidiamo di rubare l’oggetto per il quale sono tutti riuniti, ma in realtà non sappiamo nemmeno cos’è : “[…]una pietra preziosa, forse un diamante[…]”. L’accento è sul valore assoluto dell’oggetto e sulla purezza che trasmette implicitamente l’idea di pietra preziosa, non sul piano economico che non emerge mai; questo mi porta a pensare che il furto è spinto non dal desiderio di possesso dell’oggetto stesso ma dal desiderio di capire che cos’è, e soprattutto, perchè siamo circondati di gente che senza chiedersi perchè è riunita a celebrarlo. Inoltre la celebrazione pare scontata: l’oggetto non è nemmeno esposto (“[…]si trova celata in una borsa da donna in una stanza adibita a guardaroba[…]”), si trova al contrario in un luogo inusuale. Eppure l’evento è incentrato – per definizione – su esso. Rubiamo la pietra per capire perchè tutti quelli che ci circondano sono lì, e per capire cosa succederebbe se la pietra non ci fosse piu’. (“[…]Torniamo sul posto qualche ora dopo.[…]”)
Intenso è anche il senso di oppressione da parte delle istituzioni in senso generale e del contesto: anche per me è un motivo ricorrente. Essere inseguiti, interrogati, braccati. Il contesto ci è ostile in generale (“[…]Una signora ci accusa di averci visto armeggiare intorno al contenitore[…]”), non solo le istituzioni strictu sensu.
Fortemente significativo inoltre è – a mio modestissimo giudizio, beninteso – quella che viene individuata come unica soluzione alla resa alle forze dell’ordine (leggasi: alla resa ai dettami della conformità del contesto): la distruzione di sè e del mondo, mediante lenta ed inesorabile morte dall’interno. Alla repentinità del gesto segue un sussurrato impulso di speranza e redenzione, che viene tuttavia stroncato dall’allontanarsi di qualsiasi possibilità di salvezza: (“[…]fino ad un porticciolo dove il traghetto è appena partito, lasciandoci a terra.[…]”). Perchè avremmo dovuto correre al porticciolo, sapendo di essere comunque contaminati e spacciati? Perchè non si può sopprimere l’istinto alla vita, lo Spinoziano conatus sese conservandi (“[…]conatus sese conservandi primum, et unicum virtutis est fundamentum[…]”). E infatti addirittura ne arriva una conferma conscia e razionale: “[…]Nonostante questo non mi sento in grado di considerare il suicidio un’opzione.[…]”.
Nella consapevolezza dell’avvicinarsi dell’ineluttabile, alla maniera di Seneca il Giovane, la fredda calma dello stoico lascia spazio addirittura a considerazioni di carattere scientifico, e sembra quasi di sentire un “è tutto qui?” accennato fra le righe. (“[…]mi vedo allo specchio con della grosse macchie rosse in faccia, segno dei primi effetti della radiazione […] ma sono anche interessato quasi scientificamente dal comportamento del mio corpo in queste condizioni.[…]”. Difficile non leggere questo passaggio come un latente “Vanitas, vanitatis et omnia vanitas [?]”.
E in attesa dell’abisso, o della luce, il commiato dagli amici, dai compagni di viaggio, da coloro che non sono istituzione. Commiato peraltro problematico (“[…]ma spesso non so trovare le parole[…]”), e non vi è da stupirsi, se ripensiamo al fatto che la causa prima di quella che appare essere la fine del genere umano è da identificarsi inequivocabilmente nell’impulsivo gesto.
EGO ha detto:
Comunque, che sistema pacco questo dei commenti… non si può vedere l’anteprima, non si possoo modificare… avrei sicuramente regalato un’impaginazione migliore alla mia insensata profusione di sforzi di poco fa :)
EGO ha detto:
Dimenticavo: nella distruzione totale, non è stato comunque identificato alcunchè in merito alla pietra, che è sparita dal racconto contestualmente alla fuga…