Per quanto non abbia dubbi che Vancouver sia una città splendida da numerosi punti di vista e che meriti senz’altro tutti gli elogi che regolarmente vengono pubblicati su riviste e giornali, dopo quasi sei anni di residenza in British Columbia i limiti di questo luogo si fanno sentire molto forti.
In passato ho descritto fino alla noia tutte le caratteristiche osservabili di Vancouver e i suoi abitanti, ne ho cercato di comprendere la cultura, esaminare le abitudini, confrontare i valori. Un senso di ignava serenità , un vivere leggero sulla spesso non consapevole posizione di vantaggio economico del paese, un superficiale impegno ecologico e karmico che riesce perfino a sfociare in snobismo. Si potrebbe pensare che tali tratti possano appartenere ad un’antica civiltà guadagnatasi la saggezza ed il nirvana attraverso millenni di esperienze storiche. Ed invece è il ritratto di Vancouver, fondata poco più di cent’anni fa, cresciuta esponenzialmente in tempi recenti grazie alla posizione geografica vantaggiosa, popolata interamente da stranieri provenienti da tutto il mondo che, a meno di auto-ghettizzarsi, si uniscono sotto il comune denominatore di un campanilistico ed autocelebrativo laisser vivre condito di ossessivo salutismo, spiritualità orientale e totale mancanza di senso storico, artistico e politico.
Vancouver è per molti un punto di arrivo dove liberarsi del proprio passato, tradizioni, impegni e godersi il resto della vita senza pensieri il più a lungo possibile. E proprio in chiave di mera preservazione biologica si può interpretare la tartassante ed invasiva cautela nei confronti di tutto ciò che può danneggiare l’organismo, che siano ortaggi non biologici o un caffè troppo caldo o pedalare in senso contrario sulla pista ciclabile. Immagini da un futuro claustrofobico, tutto regole e freddi sorrisi.
La verità è che si sta bene. Fin troppo. E che, avendo un impiego decente e non facendosi troppe domande, si può stare qui pacificamente per decine di anni tra skipass stagionali a Whistler, settimane alle Hawaii, festival del cinema e concerti all’aperto. Dimenticandosi completamente del resto del mondo. Al punto che andarsene è ben più difficile che arrivare.
Domeniso@libero.it ha detto:
Forse hai altre mete. Cosa ne pensa Polina che viene da quella che fu la gloriosa Unione dei Soviet? Zio Nico
chiara ha detto:
L’inizio lascia intendere un desiderio di andare altrove, ma alla fine ti ritiri nella tua cella dorata. E’ un po’ come quando senti che un amore sta finendo, e proprio quel sentire ti ci fa attaccare con ancora più pervicacia.
Forse è tempo di trovare altre cose buone a Vancouver oltre a quelle che ci hai sempre raccontato, oppure potreste davvero iniziare a considerare nuove mete.
Luca ha detto:
Riponevo molte aspettative su Vancouver, e certo il mio giudizio basato su qualche giorno di permanenza non può essere accurato, ma ho avuto una sensazione di freddezza, di mancanza di spessore. Per carità , se dovessi trovare difetti oggettivi, avrei difficoltà a elencarli, diciamo è stato più un insieme di fattori che mi ha deluso.
Ad ogni modo, di certo città come Vancouver, in cui sicuramente la qualità di vita è alta, possono fungere da anestetizzante, come un pò di lidocaina che si applica prima di una iniezione.
E quando si è anestetizzati, si perde la cognizione dello spazio e del tempo, e tutto diventa una piacevole fluttuazione..
Questo è il rischio di città come Vancouver..che la vita scorra così liscia e così bene che non ci accorgiamo neanche che scorre, e comunque ci sentiamo sicuri e coccolati da questa realtà .
Dal mio punto di vista non è ciò che esattamente vado ricercando nella vita, ma , probabilmente, è ciò che appaga la maggior parte dell’umanità .
davide ha detto:
Caro Mush, direi che hai passato il punto di non ritorno… il tuo commento mi ricorda quello che i Torinesi o i Milanesi fanno ogni volta che tornano da una vacanza; si ripromettono di scappare da quelle città inospitali ed andare a vivere in posti più accoglienti e caldi ma alla fine stanno sempre li e mai se ne andranno. Fa parte della normalità sentirsi stretti nel posto in cui si vive…. è quello che ha spinto Colombo, Vespucci, Marco Polo, il capitano Kirk …..
roma ha detto:
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